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Dopo avere parlato di lenti addizionali e di tubi di prolunga, in questa puntata affrontiamo un altro approccio per fotografare a distanza ravvicinata: l’inversione dell’ottica.
Sì, avete capito bene, l’obiettivo va invertito, cioè montato al contrario, la parte anteriore s’innesta sulla fotocamera e quella posteriore rimane all’esterno: vedrete che ingrandimenti, soprattutto con le focali più corte! È un altro sistema per fare macrofotografia spendendo poco, tanto per provare. Poi se ci entusiasmiamo, potremo investire di più, magari in obiettivi e accessori dedicati, ma per il momento siamo ancora in una fase, diciamo così, sperimentale. Già, invertire l’obiettivo: ma come fare? In commercio esistono appositi anelli d’inversione dell’ottica che permettono di eseguire l’operazione; si tratta di dispositivi che da una parte hanno un attacco a vite su cui avvitare l’obiettivo mediante il portafiltri e dall’altra una baionetta per innestarsi sul bocchettone della reflex.
Naturalmente, come appare chiaro, poiché i contatti elettrici ed eventuali leveraggi rimangono inutilizzabili, si perde qualsiasi tipo di automatismo. Quindi è necessario munirsi di un obiettivo meccanico con la possibilità di regolare il diaframma manualmente. Se ne trovano nei mercatini a poco prezzo, ma anche presso i negozi di fotografia nelle vetrine dell’usato che pullulano di apparecchi dell’era analogica ormai a prezzi irrisori. Ma anche su eBay naturalmente. L’obiettivo privo di regolazione manuale del diaframma (come quelli di ultima generazione) lavorerebbe sempre a tutta apertura, condizione decisamente sconsigliabile in macrofotografia, a meno che non si abbiano velleità artistiche che sconfinano nell’astrattismo.

 

inversione ottica

Non è certo un campione di eleganza però è efficace. Obiettivo per cinepresa Switar fissato con colla a un tappo a baionetta. Consente ingrandimenti eccezionali, soprattutto in unione a tubi di prolunga. (foto di Daniele Della Mattia)


Invertire l’obiettivo conviene
L’inversione dell’ottica ha anche un’altra ragione, di tipo qualitativo. Infatti, gli obiettivi sono progettati per fornire le massime prestazioni in determinate condizioni. Ora, tutti sappiamo che un obiettivo è il frutto di un compromesso che tiene conto di svariati fattori, tra cui aberrazioni, resa ottica, prezzo, ingombro, peso ecc. Un obiettivo di prestazioni eccezionali avrebbe anche un prezzo eccezionale e quindi non sarebbe un buon affare produrlo, sebbene la cosa tecnicamente sia possibile. Non solo, ma un miglioramento spesso appena percettibile comporterebbe un aggravio di costi notevolmente più importante: una volta raggiunta una qualità ottimale con un buon compromesso di tutti i parametri, un aumento di qualità, poniamo del 5 per cento, comporterebbe un aumento dei costi del 50 per cento e così via a salire con progressione geometrica. Gli obiettivi cosiddetti standard sono calcolati per una resa ottimale con messa a fuoco su infinito e diaframma su valori intermedi, gli obiettivi macro sono corretti per una messa a fuoco ravvicinata e diaframma con valori più alti, ossia aperture inferiori. Fatte salve le solite eccezioni.
Quando, per esempio con una serie di tubi di prolunga, ci avviciniamo al rapporto 1:1, i calcoli con cui è stato progettato l’obiettivo vanno a farsi benedire, abbiamo completamente sovvertito ciò che gli ingegneri si erano prefissi in sede progettuale. Se poi addirittura superiamo questo limite, ecco che l’obiettivo si trova a lavorare in condizioni radicalmente opposte, cioè il soggetto è più piccolo del sensore e la distanza di messa a fuoco è così breve che la lente frontale dell’obiettivo quasi tocca il soggetto, mentre per contro la lente posteriore è molto lontana dal sensore, l’esatto contrario di ciò che accade con la fotografia “normale”. E questo vale anche per gli obiettivi comunemente detti macro. Ecco che l’inversione dell’ottica ripristina le condizioni ottimali di lavoro dell’obiettivo con conseguente migliore resa, oltre a garantire immediatamente un ottimo fattore d’ingrandimento.

 

macro bruco

 

Questo bruco di Macaone se ne stava perfettamente immobile, quindi è stato possibile fotografarlo anche con un forte ingrandimento senza problemi. (foto di Daniele Della Mattia)


Quale focale utilizzare?
L’ideale sarebbe un obiettivo standard, il solito 50 millimetri, ma anche un 35 mm andrebbe bene. Quanto all’anello d’inversione dell’ottica, anche in questo caso un giro su Internet risolve il problema. E se proprio non trovate nulla, potete arrangiarvi con un po’ di bricolage utilizzando il tappo della reflex si cui fissare un anello filettato recuperato da un filtro. Un conoscente tornitore e un po’ di colla epossidica bicomponente faranno il resto (è una soluzione un po’ rozza, lo riconosco, ma per provare può andare bene, in seguito si può sempre trovare un sistema meno empirico). Anzi, già che ci siamo, per ottenere ingrandimenti di qualità eccellente e ancora più potenti, possiamo montare un obiettivo a focale fissa per cineprese, sempre invertito, anche questo lo troviamo sui mercatini dell’usato, virtuali o reali che siano. Le focali più adatte vanno da 20 mm in su, diciamo fino a 60 mm.
I risultati dal punto di vista qualitativo sono sorprendenti, poiché la correzione di queste ottiche è molto spinta e calcolata per operare con fotogrammi molto più piccoli del 35 mm o APS-C: avete presente le dimensioni dei fotogrammi 8 mm o 16 mm? E gli ingrandimenti cui sono sottoposti i film proiettati sul telone? Anche un obiettivo invertito montato su un obiettivo può essere adatto allo scopo, in questo caso serve un anello dotato di doppia filettatura. Naturalmente, quasi inutile dirlo, in tutti questi casi è indispensabile il treppiede poiché le regolazioni delle distanze sono veramente millimetriche.

 

macro foglia

 

Con l’anello di inversione dell’ottica si possono ottenere ingrandimenti notevoli senza interposizione di accessori di prolunga.  (foto di Daniele Della Mattia)


La marca dell’obiettivo deve essere quella della fotocamera?
No, non essendoci un rapporto diretto tra obiettivo e fotocamera che, di fatto, sono svincolati dall’anello di inversione, si può usare qualsiasi obiettivo di qualsiasi marca. È chiaro che le prestazioni variano, le soluzioni migliori sono rappresentate da ottiche a focale fissa da 28 mm a 90 mm di buona marca, tenendo presente che il maggiore ingrandimento si ottiene con le focali più corte.

A che valore conviene chiudere il diaframma?
Nella macrofotografia la profondità di campo non basta mai, ma oltre un certo valore il diaframma non può essere chiuso non solo perché probabilmente non arriverebbe abbastanza luce al sensore, ma soprattutto perché potrebbe insorgere il fenomeno della diffrazione, di cui tratteremo più avanti, che riduce la nitidezza su tutto il fotogramma. Quindi, il consiglio è eseguire alcuni scatti con diaframmi diversi e scegliere il migliore, tanto il costo è zero (grande vantaggio di scattare in digitale).

 

macro farfalla

 

Il particolare dell’ala di farfalla evidenzia le delicate strutture che la compongono. Come si può notare, i colori sono prodotti dalle invisibili (a occhio nudo) squame. Importante: la farfalla non è stata minimamente forzata a rimanere in posa. E questo valga sempre per il fotografo naturalista, il rispetto per gli animali viene prima di tutto. Se ci permettono di essere fotografati bene, altrimenti si cambia soggetto, niente forzature, niente violenze, hanno tutto il diritto di essere lasciati in pace. (foto di Daniele Della Mattia)

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