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Fino all’invenzione della fotografia, erano solamente ricchi e nobili a permettersi un ritratto. I pittori costavano e costa cari.  Con la fotografia tutto cambiò, anche i meno abbienti potevano pagare i pochi centesimi necessari per una stampa formato cartolina. Inoltre, chiunque, anche chi non aveva l’abilità del pittore, con la fotocamera poteva diventare ritrattista. Dieci anni dopo il 1836, data della nascita ufficiale della fotografia, in Europa si contavano centinaia di studi fotografici specializzati.

 

talbot ritratto

A causa della scarsa sensibilità delle prime emulsioni fotografiche, i ritrattisti allestivano il loro studio all’aperto, per utilizzare la luce del sole. Lo studio di Talbot, a metà dell’Ottocento

 

Agli inizi e in parte, ancora oggi, il ritratto fotografico ripete atteggiamenti e illuminazione del ritratto pittorico. La classica ripresa fotografica “a mezzo busto” è imitazione del ritratto pittorico. L’atteggiamento della persona imita ancora oggi, quando non ce ne sarebbe bisogno, le pose immobili che il soggetto era costretto ad assumere durante le lunghe sedute davanti al pittore. Anche quando riprende con un tempo di scatto inferiore al millesimo di secondo, più che sufficiente a fermare un piccolo movimento, il fotografo raccomanda al soggetto di rimanere fermo.

 

pittorialismo

Molto seguito ebbe la corrente fotografica detta “pittorialista”. L’autore cercava di imitare, con tecniche fotografiche i risultati delle tecniche pittoriche. Ritratto di Robert Demachy (1859-1936) stampato con la tecnica della stampe alle polveri, a imitazione della tecnica pittorica del carboncino

 

Anche l’illuminazione ricalca quella dei pittori. Non c’è da stupirsi: i primi fotografi si formarono nelle scuole di pittura e in particolare del ritratto in miniatura. Il dagherròtipo, la prima immagine eseguita a macchina, aveva dimensioni e aspetto della miniatura. Quella che si potrebbe definire democratizzazione del ritratto ha interessato non solo il soggetto ma, con il passare del tempo, ha riguardato anche il fotografo. Oggi tutti, si possegga una costosa reflex o una semplice compatta, possiamo fare buoni ritratti.

 

Tecnica in pillole

La fotografia, banalità spesso dimenticata, è fatta di luce la cui direzione, intensità, colore sono indispensabili per creare l’immagine. Tutti i professionisti usano una luce principale, dominante, che dirigono a loro gusto sul soggetto, per ottenere il desiderato alternarsi di chiari e scuri. Sta alla sensibilità del fotografo, in rapporto al tipo di soggetto, adottare una luce principale diretta e potente, in modo da avere illuminazione dura e contrastata; oppure un’illuminazione principale diffusa, così da avere il soggetto illuminato in modo uniforme da luce morbida. In genere si preferisce usare luce dura e direzionata per i ritratti maschili, riservando quella più morbida per i ritratti femminili e di bambini.

 

primo piano modella

Se osserviamo il riflesso della luce negli occhi scopriremo il tipo d’illuminazione usato: una forte luce laterale, riportata sulla parte in ombra del viso da un pannello bianco.(Le foto di Marzo)

 

Una sola luce spesso non basta. Per rischiarare le ombre troppo scure, che sarebbero prive di dettagli, alla luce principale il professionista affianca la cosiddetta luce di riempimento. È una luce di tipo diffuso, riportata sul viso da un pannello riflettente. Con una sola fonte di luce, quella principale, si possono eseguire eccellenti ritratti, se si usa come luce di riempimento la stessa luce principale riflessa da un pannello bianco, posto vicino al soggetto, ma dal lato opposto rispetto alla direzione della luce dominante. La soluzione è semplice e fornisce buoni risultati.

 

paola barale

Una delle prime foto della show girl Paola Barale. L’illuminazione usata è del tipo diffuso, fornita da grandi bank . Anche lo sfondo è illuminato con luce diffusa e sovraesposto, in modo da non offrire nessun particolare, che distrarrebbe l’attenzione dal viso della persona. (Le Foto di Marzo)

 

Dopo aver sperimentato questo schema, e averne approfondito la tecnica, si può passare a schemi più complessi, che richiedono più fonti di luce diretta. Esempio: un faretto posto in controluce, che mandi il suo fascio luminoso sulla testa del soggetto, che lo stacchi in maniera netta dallo sfondo e ne metta in risalto la pettinatura e il colore dei capelli. Oppure più fonti di luce, dirette in modo da schiarire determinate zone del fondale, o di quanto sta attorno al soggetto, in modo da creare interessanti giochi d’ombra. Attenzione: più aumentano le fonti di luce, più è difficile creare un’illuminazione corretta, senza ombre o chiaroscuri indesiderati.

 

Estetica del ritratto

 

rodcenko

La fotografia e il ritratto fotografico ebbe maggiore consapevolezza della propria autonomia, rispetto alla pittura, con la stagione del costruttivismo russo.

 

“Un buon ritratto, pittorico o fotografico, deve avere una profonda somiglianza, la somiglianza di un oracolo che predice il futuro del soggetto nello stesso tempo in cui dice qualcosa del suo passato...”. Sono parole dell’inglese inglese Bill Brandt. Impegnativo metterle in atto. Proprio qui sta la differenza tra un buon ritrattista e uno mediocre. Purtroppo quel quid in più non lo si impara dalla lettura dei manuali. Questo non significa che si debbano ignorare tecnica e sintassi del ritratto. Non fosse che per dimenticarle e infrangerne creativamente le regole.

 

rodchenko majakowskji

rodcenko

V.M. Rodcenko (1891-1956), cineasta, coreografo, pittore e fotografo, sperimentò con successo nuovi modi per costruire immagini. Punti di vista inconsueti e drastici tagli dell’immagine facevano parte del suo linguaggio fotografico. Il famoso ritratto del poeta Majakovskji è il risultato dell’ingrandimento di una parte del fotogramma completo

 

Renzo Chini, uno dei migliori critici fotografici italiani, scriveva : “Occorre conoscere gli schemi di illuminazione, al punto da usarli senza neppure pensarci e magari scoprire che... non esiste un assetto di luci buono o cattivo per tutta una categoria di soggetti...”. (Renzo Chini, Il Linguaggio fotografico, editrice SEI, Torino 1968).

 

I generi

Esiste il ritratto recitato, quello posato, quello narrato, quello rubato, quello ambientato. Esempi di ritratti recitati sono quelli che si vedono nelle pubblicità. Il soggetto deve esprimere uno stato d’animo, una personalità stabilita dalle esigenze del committente. Altra cosa è il ritratto posato. È il genere più antico e quello che più si avvicina al ritratto dipinto e ai primi ritratti fotografici. Nel ritratto posato si cerca sempre di ottenere il migliore risultato con il minore dispendio di mezzi. Tutto è ridotto all’essenziale, a partire dal fondo, che è per lo più neutro, di colore pieno, grigio, oppure bianco. L’illuminazione è scelta tra quelle più semplici. Ritratti di questo genere, a cui guardare per impararne la tecnica, sono quelli inglesi di fine Ottocento di Adamson e Hill.

 

ritratto silhuette

 

ritratto quadrato formato

Il soggetto di questi ritratti è volutamente contestualizzato nel suo ambiente. Si tratta di immagini tratte da una ampia serie dedicata ai produttori di vino fotografati nelle loro cantine (foto P.M. Studio)

 

Il cosiddetto ritratto narrato, invece, vede una maggiore partecipazione del fotografo nello stabilire una regia, nel cogliere un momento significativo della personalità del soggetto. Si dice che Paul Strand, quando eseguiva i suoi famosi ritratti, adottasse un piccolo trucco. Sistemava il soggetto davanti alla macchina, naturalmente fissata al treppiedi, dava qualche consiglio su come atteggiare il corpo, la solita raccomandazione di guardare in macchina e... attendeva qualche decina di secondi prima di premere il pulsante di scatto. Quei secondi erano sufficienti per far assumere al soggetto un atteggiamento personale, di fronte all’imprevisto.

 

pepi merisio

I nostri occhi sono oramai abituati alle immagini a colori. Involontariamente si attribuisce a una foto in bianconero un’età maggiore di quella reale. L’immagine in questione non è dell’Ottocento, come si potrebbe immaginare, ma risale agli anni Sessanta del Novecento. È del noto fotografo Pepi Merisio e ritrae una contadina delle valli bergamasche. (foto Pepi Merisio)

 

Yousuf Karsh, quando riprese Winston Churchill, lo fece sedere su una poltrona, sul set già preparato, poi gli si avvicinò, gli tolse di mano l’immancabile sigaro e velocemente spostatosi dietro l’apparecchio da studio, premette il pulsante di scatto. La provocazione inattesa fece assumere a Churchill uno sguardo nel quale si condensava la sua forte personalità. Il ritratto ambientato si può considerare una doppia descrizione: del soggetto e dell’ambiente nel quale questo si muove. È anche un modo per descrivere meglio il soggetto e la sua personalità e, nello stesso tempo, farlo sentire più a suo agio. La casa, il luogo di lavoro sono il territorio proprio dell’individuo, che non viene intimidito da un ambiente estraneo, quale può essere la sala di posa. Proprio per avere attori a loro agio il regista Von Stroheim era solito farli abitare per alcuni giorni nei luoghi e nelle stanze dove avrebbero girato le scene.

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