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Abbiamo avuto la sorte e l’anagrafe di vivere il Sicof del secolo passato. Salone Internazionale Cine Ottica Foto, significava l’acronimo. Si teneva a Milano ogni due anni. Una festa di pubblico

Abbiamo avuto la sorte e l’anagrafe di vivere il Sicof del secolo passato. Salone Internazionale Cine Ottica Foto, significava l’acronimo. Si teneva a Milano ogni due anni. Una festa di pubblico che, nei giorni d’apertura, intasava la linea uno della metropolitana: quella che portava ai padiglioni della vecchia Fiera. Si organizzavano voli e pullman da tutta Italia per vedere e, in modo particolare, toccare con mano, gli oggetti del desiderio fotografico. Una festa per gli appassionati che potevano anche scattare su veri set fotografici.

Il mondo cambia e le passioni tecnologiche pure. Il Sicof cambiò nome e nacque il Photoshow. Questa volta annuale. Ad anni alterni se lo giocavano Milano e Roma. Si cominciò a non puntare più tanto su fotocamere, obiettivi e accessori, ma sul fatto che questi erano semplici strumenti per fotografare. Per esprimersi con immagini. L’ultimo Photoshow si tenne a Milano l’anno passato: scarsa affluenza ed errori organizzativi. Il mondo cambia, e il cambiamento avanza rapido. E’ facile prendere cantonate nel tentativo di rincorrerlo. I Futuristi cantavano velocità, progresso, gioventù. Un’esperienza ragguardevole, che lasciò anche cose notevoli.

 

La Colonna Infame: il fallimento di WidePhotoFest 2017, l'evento è stato uan inutile sofferenza

 

Oggi la corsa al futuro è una rincorsa più che a velocità, progresso e gioventù a quanto è gggiovane (le tre g non sono un refuso). E allora sono volenterosi blogger dalla scarsa esperienza, sedicenti influencer in caccia di regali. Grande confusione sotto il cielo, tutto è eccellente, affermava il Grande Timoniere. Sappiamo come andò a finire.

Quest’anno, all’insegna del tutto deve cambiare, il Photoshow è stato ribattezzato WidePhotoFest. Doveva essere una grande festa mobile. Gggiovani a frotte richiamati da radio altrettanto gggiovani accessoriate con DJ sul palco. I gggiovani sono la generazione dello smartphone col quale, afferma la pubblicità, incidentalmente serve anche per telefonare. In realtà è un prolungamento fotografico dell’occhio gggiovane. Non si scattano forse miliardi di selfie? La pizza, prima di essere mangiata, non è forse inesorabilmente fotografata? Siamo stati al Wide e ci pareva il Deserto dei Tartari, con perplessi Drogo che scrutavano l’infuocato orizzonte di piazza Gae Aulenti, nel caso comparissero quelle antiche torme di fotoamatori narrate dalla leggenda. Smarriti, dagherrotipi in perplessità, abbiamo incontrato amici di vecchia data che non trovavano “le vecchie cose di cattivo gusto”: montagne di fotocamere, mucchi di accessori e le decine di set per fotografare e sentirsi, almeno per il tempo di un clic, parte della grande famiglia della fotografia. Non si capacitavano che ai gggiovani Tommasino non piacesse il presepe, quello della loro fotografia. Sicof, Photoshow, WidePhoto Fest: è vero, sono i posteri quelli che ci fanno rivalutare. Ed è sempre valida la battuta del tenore che, subissato dai fischi, si rivolse al loggione dicendo: non sapete cosa sarà il basso. Che fare? Ci occupiamo di fotografia, in tutte le sue accezioni, da mezzo secolo. Ma questa, avrebbe detto Kipling, è un’altra storia.

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