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Caffè, fotografia e un po’ di Stendhal

La biografia ne afferma la nascita il giorno otto febbraio 1944 ad Aimorès, cittadina di un ventimila abitanti nello stato brasiliano di Minas Gerais. La fazenda di famiglia si estendeva per infiniti ettari lungo una valle ampia, coperta da boschi. Caffè e allevamento del bestiame erano le attività del luogo. Unico maschio, in un universo familiare di sette sorelle, venne avviato agli studi di economia, che terminò a Parigi con un dottorato presso l’Ecole Nationale de Statistique et de l’Administration Economique. Studi e natali lo portarono, poi, a Londra: funzionario dell’Organizzazione Internazionale del Caffè. Negli anni Settanta abbandonò il caffè per la fotografia.

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Salgado, foto mostra Genesi

Penisola di Yamal, Siberia - 2011 (© Sebastião Salgado/Amazonas Images)

Intanto l’azienda di famiglia ingrandiva, i boschi erano abbattuti per lasciare sempre più spazio a piantagioni, a pascoli. Per quelle terre, l’anticamera della desertificazione. Non fai parte di organizzazioni internazionali se non hai conoscenze e queste servono a farne altre. Grazie ad esse nasce l’Istituto Terra, una fondazione che chiede fondi in tutto il mondo e li ottiene. Gli alberi, che l’azienda di famiglia aveva abbattuto per far posto alle piantagioni, ai pascoli, sono nuovamente piantati. Preceduto da articolesse a tappetino nei giornali, il giorno ventisei di giugno 2014 arriva a Milano, sotto la Loggia dei Mercanti. Acconcia, davanti a sé, sul tavolo della conferenza stampa, la fotocamera con la marca maliziosamente bene in vista. Titilla gli astanti con un discorso d’impeccabile politically correctness ecologica. Poi è inghiottito da un muro di fotografi e videoperatori. Veloce, come s’era formato, il muro si dissolve. Lui non c’è più. Una voce distante chiama: Salgado, Salgado. A Fabrizio del Dongo, ne La Chartreuse de Parme, toccò il grido “Vive l’Empereur”, dopo il passaggio di una polverosa torma di cavalieri. Il mio soffio di storia è più modesto. Genesi è il titolo del libro che ho tra le mani e della mostra appena inaugurata. Sono duecentocinquanta immagini, in bianconero, lungamente pensate, minuziosamente costruite, puntigliosamente scelte tra migliaia, sontuosamente stampate. Il lavoro è costato otto anni di tempo, migliaia di chilometri di viaggi, investimenti non indifferenti. Una storia da Lorsignori, avrebbe seccamente liquidato l’impresa Fortebraccio, in uno dei suoi graffianti corsivi per l’Unità.

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