News ultimissime!

Nonostante io sia il primo a proclamare che il vero fotografo non va mai in letargo, ma deve trarre spunti anche dalla cosiddetta “brutta stagione”, è innegabile che la primavera offre, naturalisticamente parlando, occasioni maggiori e soprattutto maggior entusiasmo. Uscire a fotografare con una camicia di cotone, anziché armeggiare sulla fotocamera tutti bardati e con le dita congelate, non è certo un fastidio, e giornate di sole e temperature gradevoli invitano ad uscire in cerca di soggetti interessanti.
Già, i maledetti soggetti, quel “cosa fotografare” che spesso ci perseguita, trova all’inizio della bella stagione una quantità di risposte. Nuove gemme, nuovi fiori, ispirano paesaggi suggestivi, la ricomparsa di farfalle e altre moltitudini di insetti è un invito a dedicarsi alla macro con soggetti viventi, in luogo delle solite foglioline ghiacciate e galaverne che sono tra le poche cose che ci riserva l’inverno per la fotografia ravvicinata. Poi ci sono i girini, le rane, le lucertole… Insomma, solo l’imbarazzo della scelta.

foto naturalistica

Uno scatto da vicino
Per affrontare questo genere di fotografia, non serve una grande attrezzatura, basta un obiettivo macro o, se non lo si possiede, qualcosa che possa ridurre la distanza minima di messa a fuoco dell’obiettivo abituale, con conseguente aumento del rapporto di ingrandimento massimo. Semplici tubi di prolunga, meglio se dedicati perché mantengono tutti gli automatismi, possono fare al caso specifico, anzi in certe circostanze possono rivelarsi migliori di un’ottica macro in quanto a versatilità. Mi spiego meglio: con il classico 50 o 100 mm macro, si ottengono risultati eccellenti su soggetti inanimati come i fiori, ma ci si preclude tutta quella serie di fotografie a piccoli rettili, anfibi, libellule, farfalle e insetti vari, che hanno comunque una “distanza di fuga”, più o meno accentuata a seconda della specie, ma in ogni caso presente. Un 100 macro ha mediamente una distanza minima di messa a fuoco (m.a.f.) di una trentina di cm, che, attenzione attenzione, non partono dalla lente frontale come alcuni erroneamente pensano, ma dal piano focale, pellicola o sensore che sia, solitamente segnalato sulla calotta del corpo macchina con un simboletto di un tondino diviso da una retta parallela al piano focale. Calcolando che il complesso fotocamera-obiettivo macro sia lungo oltre 15 cm, ne consegue che la distanza effettiva dalla lente frontale scende sotto i 15 cm. Nel caso di un 50 mm con tubo di prolunga da 25 mm, la minima di m.a.f. passa da 45 a 20 cm circa, ma calcolando che di questi 20 cm ben 13 sono occupati da corpo macchina e obiettivo, la distanza tra soggetto e lente frontale scende a 7 cm, davvero troppo pochi anche per il meno pauroso tra i piccoli animali.
Ecco allora che i tubi di prolunga, in luogo dell’ottica macro, aumentano la versatilità del corredo adattandosi a tutte le focali che possediamo. Se per riprese statiche vanno benissimo abbinati ad ottiche corte, e poco importano quei 7 cm, una volta interposti tra corpo macchina e obiettivo tele (o zoom tele) compreso tra i 200 e i 300 mm diventano perfetti per la “caccia macrofotografica”. Prendiamo il classico 70-200 mm f 4 di Canon (ma potrebbe essere di qualsiasi marca, e il concetto non cambia, l’ho solo preso ad esempio perché lo conosco bene e ne conosco le specifiche tecniche). Usato “nudo”, ha una minima di m.a.f. di 1.2 m e rapporto di ingrandimento max di 0.21X (a 200 mm.). Dati alla mano (ufficiali Canon) in combinazione col tubo da 12mm passa a 0.23X, che diventa 0,37X (quasi il doppio) con quello da 25 mm, mentre la minima di m.a.f. passa, col tubo da 25, da 1.2m a circa 90 cm dal piano focale (cioè circa 60 dalla lente frontale, dato che gli altri 30 sono rappresentati dal corpo macchina più l’obiettivo). Distanza di ripresa già più accettabile per piccoli soggetti “timidi” senza allarmarli troppo.
Va da sé che i due estensori (che mantengono tutti gli automatismi di diaframma, autofocus e stabilizzazione) montati insieme aumentano ancora il rapporto massimo di ingrandimento, con conseguente diminuzione della distanza minima di m.a.f.

foto naturalistica

Treppiede e flash
A così breve distanza, la profondità di campo ridottissima impone diaframmi molto chiusi, per intenderci nell’ordine di f/11, 16, o anche f/22 a seconda dei casi, il che comporta obbligatoriamente l’uso del treppiede o del flash, meglio ancora tutt’e due le cose insieme.
Il flash ideale sarebbe quello anulare, ma oggi esistono in commercio degli aggiuntivi che, montati su di un comunissimo flash, consentono risultati notevoli in quanto ad omogeneità di illuminazione e controllo di ombre indesiderate senza doversi sobbarcare l’acquisto di un lampeggiatore anulare. In alternativa, può andare bene anche una luce fissa a Led, meno potente ma dal risultato più controllabile trattandosi di luce continua.

foto naturalistica

© Guido Bissattini

Joomla SEF URLs by Artio