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Raggiunsi il Mali dopo una lunga traversata sahariana. Nel Paese si mescolano le etnie più diverse. La più nota è quella dei Dogon. Vive arroccata in piccoli villaggi sui dirupi della falesia di Bandiagarà, lunga più di duecento chilometri, nei pressi di Moptì, verso il confine est. La visitai e la mia guida erano gli scritti di Marcel Griaule, l’etnologo francese che visse con loro molti anni.

I Dogon, animisti, si rifugiarono in questo territorio impervio attorno al XIII secolo, per sfuggire alla conquista islamica. Ancora oggi lottano per mantenere la loro identità. Caratteristiche le loro sculture lignee e le loro maschere rituali, indossate durante le ricorrenze tradizionali.

Sapevo che a Bamako, la capitale, esisteva un museo etnologico con interessanti raccolte di oggetti, Dogon e non solo. Non potevo mancare la visita.

Bamako, Mali. Statue lignee e maschere rituali Dogon al Museo etnografico.
Una delle maschere zoomorfe fotografate al Museo Etnografico di Bamako in Mali.

Mi accolse il giovane direttore: buoni studi a Parigi, elegante in blazer e jeans, professorale con i suoi occhiali dalla montatura scura. Bien sur, potevo fotografare le collezioni di statue e maschere. Pa’d’problème, attraversiamo uno spoglio cortile con poca erba ingiallita, cause de la sécheresse, savez, entriamo in un magazzino, dove sono accatastate sculture e maschere e manufatti. Anche pezzi di sculture, rotte e non restaurate. Vous salue, j’ai d’ chose a faire e mi affida alle cure di due ragazzoni sorridenti. Il sont a vo’ ordres, aggiunge.

Bamako, Mali, nel museo etnografico tra i reperti del popolo Dogon.
Oggi con il digitale è tutto più semplice, ma con l'analogico le difficoltà di fotografare in ambienti poco illuminati era un grande problema. I fotografi usavano spesso Kodak Ektachrome 25, massimo 64 ISO. Nella foto una maschera zoomorfa del museo di Bamako in Mali.

Il locale è poco illuminato, un buio rotto da lame di luce che attraversano piccole finestre e fessure negli infissi. Impossibile fotografare. All’epoca le meraviglie possibili col digitale non esistevano, c’era il mitico Ektachrome 25 o, massimo, 64 ISO. Lumière, suffit pas dico, mi guardano sorridendo, dommage, rispondono e stanno lì, nel buio, sempre sorridendo, a guardarmi.

UnaFotoUnaStoria, scultura Dogon a Bamako in Mali.
Questa scultura riproduce una gazzella. Edo Prando per fotografare i pezzi del museo ha chiesto di poterli spostare all'esterno. Da qui l'inicdente per fortuna finito in una risata!

Entrando, ho visto che una parete del magazzino proietta, nel cortile, una bellissima ombra, una luce quasi da still life. Bisogna portare le statue, le maschere fuori e fotografarle alla luce, spiego. Mi guardano, sorridono, m’sieur le Dirècteur rispondono. J’ai la permission è il mio bluff. Ah, bon ed è un altro sorriso. Indico le sculture che più m’interessano, di legno, pesanti, alte anche più di un metro. Sono robusti e volenterosi i miei aiutanti. Escono con una scultura, la sistemano nel modo migliore, aspettano che la fotografi, la riportano nel magazzino e ne escono con una nuova. Statue zoomorfe del pantheon Dogon. Bellissime gazzelle stilizzate, grifagni uccelli dalle grandi ali spiegate. Il lavoro procede veloce finché, improvvise, le ali di una divinità si spezzano. Rimangono tra le mani dei due aiutanti, mentre il corpo si abbatte ignominiosamente a terra. In una frazione di secondo mi vedo già ospite delle galere maliane.

Il corpaccione della divinità, cadendo a terra, ha alzato una nuvoletta di polvere. Sale lenta nell’aria calda. Silenzio. Alzo gli occhi. I due mi guardano perplessi, accenno un timido sorriso, loro scoppiano in una fragorosa risata. Non dev’essere la prima volta che rimangono con le ali in mano. Il lavoro prosegue con più allegria e un altro paio d’incidenti. Souhaitez saluer ‘sieur le Directeur? Merci, j’ai d’ chose a faire. E.P.

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