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Una vite, i grandangoli e la marmellata.

Giuseppe Turroni era critico cinematografico, negli anni Sessanta del ‘900 scriveva nel Corriere della Sera anche di fotografia. Giovane appassionato dell’argomento, non ancora divenuto mestiere, ne leggevo con interesse gli scritti. Da redattore dello storico mensile Fotografia Italiana lo conobbi di persona. Un signore colto, appassionato delle immagini ma che sapeva di musica e pittura e storia.

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Un giorno ebbe a dire che trovava più cultura nella vite di una fotocamera che in tante mostre di fotografia. Spiegava che una vite è il frutto di studio, sapienza costruttiva e sapienza industriale. Una vite giusta al momento giusto può cambiare il mondo, concludeva. Mi ricordava l’operaio Pautasso del romanzo La chiave a Stella di Primo Levi: quello orgoglioso di saper fare, col suo tornio, i “barbis” i baffi a una mosca. E poi si parlava di fotografia, del fatto che strumenti nuovi avessero prodotto immagini nuove, estetiche innovative e mai viceversa. Klein non ci avrebbe dato le immagini di New York, di Tokyo, non avesse avuto tra le mani i grandangoli che, prima, non c’erano. Senza il piccolo formato delle sue Contax, Capa non ci avrebbe dato né Il Miliziano, né la spiaggia della sanguinosa Omaha. Ci avrebbe dato le immagini statiche di Fenton sulla guerra di Crimea. Discorsi sul filo della provocazione intelligente. Mi sono tornati alla memoria leggendo le reprimende, a sopracciglio doverosamente inarcato, contro i telefonini sempre più usati per scattare foto. Contro i nuovi modi e le nuove mode di fare immagine. I chierici difendono sempre gli strumenti che hanno dato loro potere. Nell’Ottocento furono i pittori ritrattisti a bollare d’incompetenza i fotografi. Sappiamo come è andata. Oggi, se voglio un ritratto, me lo faccio col telefonino, non pago nemmeno un fotografo, men che meno un pittore. Una nuova estetica, che convive con quelle precedenti e che non merita il sopracciglio inarcato. Ma la cultura, si chiederà qualcuno? La culture est comme la confiture, moin on en a plus on l’étale, dicono in Francia. La cultura è come la marmellata, meno ne hai, più la spandi.

 

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