Non ci vedevamo da anni. Sapere, casualmente, che se n’è andato, come si dice: è stato un colpo. Fabio Amodeo era giornalista imprestato alla fotografia. Caporedattore de Il Piccolo

e dell’Alto Adige, faceva delle immagini la sua passione. Ci conoscemmo, erano gli anni Settanta, nel mondo dei mensili di fotografia. Quelli che trattavano della tecnica e quelli che trattavano dell’immagine. Quelli che, oggi, sono detti “culturali”. Termine che a Fabio non piaceva, tanto da farci sopra salaci battute, con quella sua parlata triestina. Se lo poteva permettere. Conosceva bene la fotografia ed ebbe anche modo di insegnarla, allo IULM di Milano e all’Ateneo di Trieste. Tuttavia non dimenticava mai di essere cronista, di quelli che consumano le scarpe cercando fatti e notizie. Si trattasse di un fatto di nera, per il suo quotidiano; dell’ultima fotocamera presentata in Photokina o di quel fotografo esposto in mostra o pubblicato nelle pagine di una rivista.

Fabio Amodeo, foto tratta da Il Piccolo di Trieste, presso cui ha lavorato molti anni

Il suo interesse per la fotografia era a tutto tondo. Non si sentiva sminuito se doveva scrivere dell’ultima reflex. Non s’impancava, se gli capitava di recensire una mostra, un libro, un autore. Ci si vedeva ed erano conversazioni colte e gradevoli. Dal punto di vista della professione, la nostra fu una staffetta. Verso la fine degli anni Ottanta mi passò il testimone di direttore tecnico di Photo Italiana, allora la più diffusa rivista d’immagine. Io arrivavo dalla direzione editoriale di Fotografare, il più diffuso mensile di tecnica fotografica; lui andava a dedicare più energie al Piccolo di Trieste. Poi furono sempre più sporadici, ma sempre felici incontri, per gli appuntamenti canonici del nostro mondo. Mi rimane il ricordo della sua dolce ironia scandita dalle inconfondibili vocali triestine. Ciao Fabio, mi verrebbe da dire, non sapessi quale sarebbe stata la sua giusta reazione, da caporedattore di buona lega, a questo luogo comune. E.P.