News ultimissime!

Avevo quindici anni e abitavo a Torino, quella città che trovi sulla cartina dell’Italia in alto a sinistra. E’ stretta in un angolo, circondata da montagne. Avevo quindici anni e sognavo terre lontane. Ammucchiavo i pochi spiccioli della paghetta e, raggiunta la cifra sufficiente, compravo un libro di viaggi. L’editore Feltrinelli aveva una collana di tascabili interessanti. Li vendeva anche il giornalaio davanti al quale passavo, andando a scuola. Di quel libro ricordo ancora la copertina verde.

Vi campeggiava un indio dell’Amazzonia nell’atto di scoccare una lunga freccia: Samatari era il titolo, Alfonso Vinci l’autore. Sono i libri che ti scelgono: contai il denaro che avevo in tasca. Lo comprai. Raccontava le avventure di Alfonso Vinci, professore all’università di Mèrida, Venezuela, nell’Amazzonia dell’Orinoco. Samatari era il nome di una tribù perduta.

Viaggio antropologico nell'Amazzonia profonda tra gli Yanomàmi.
La foto scelta dalla rivista di viaggi Atlante per la copertina del numero dedicato al viaggio antropologico di Edo Prando tra gli Yanomàmi dell'Amazzonia.

Non lo sappiamo, ma le cose hanno un’anima e una volontà. Passarono gli anni e quel libro nuovamente mi scelse. Mi proposero di far parte di una spedizione antropologica che aveva, come obiettivo, la risalita di uno sconosciuto fiume amazzonico dove vivevano gli Yanomàmi, gli ultimi indios “nudi”. Samatari era una tribù di quell’etnìa. Accettai. Rimasi stregato. Dagli Yanomàmi tornai più volte.

“Per scattare buone fotografie non devi lasciarti trascinare dalla passione per il soggetto - mi confidò, anni più tardi, Vincenzo Carrese, il fondatore della Publifoto, aggiungendo - Sono appassionatissimo di calcio e, proprio per questo, non vado mai a fotografare le partite. Mi metterei a tifare, invece di fotografare”. All’epoca non sapevo il suggerimento di Carrese, ma lo seguivo. All’epoca, anni Settanta del secolo passato, i giornali erano la risorsa economica del free-lance. Sembrerà strano, oggi, ma i giornali, allora, compravano e pagavano le fotografie. Se conoscevi il tuo mestiere tenevi conto anche degli spazi che potevi avere nella pagina. Ad esempio: del medesimo soggetto scattavi sempre sia in verticale, sia in orizzontale. In questo modo facilitavi il lavoro al grafico. E correvi meno rischi di vedere tagliate alla meno peggio le tue immagini.

Il lavoro del freelance nel campo dell'editoria. Conoscere il proprio mestiere.
Svolgere il proprio lavoro al meglio significa anche fotografare in orizzontale e in verticale per facilitare il lavoro al grafico. E per non correre il rischio di vedere le proprie immagini tagliate alla meno peggio.

Gli Yanomàmi cacciano ancora con arco e freccia: grandi e pesanti archi e lunghe, ma leggere, frecce. Tengono meglio la direzione nella foresta, più difficile siano deviate da accidentali foglie.

Il bersaglio sono per lo più uccelli e scimmie. L’indio tende l’arco verso l’alto e scocca la freccia. Questo nella penombra della foresta.

Amazzonia profonda, tra gli Yanomàmi.
Furono diversi gli scatti realizzati da Edo Prando, alla ricerca di quello migliore. Vivere nella tribù per diversi giorni, gli ha consentito di essere accettato e di stabilire un buon rapporto. Tanto da chiedere di frecciare in condizioni di luce favorevoli.

All’epoca la pellicola migliore era la Kodachrome. Bellissimi colori ma un difetto: solamente 25 ISO di sensibilità. Di riprendere in foresta proprio non se ne parlava.

Da molti giorni vivevo nella tribù. La mia presenza, innocua, era oramai accettata. Riuscii a convincerli a frecciare per me, ben illuminati dal sole, al centro di una radura, verso inesistenti bersagli. L’assurdità della cosa li divertiva. Si sa, i “nape”, gli “stranieri” nella loro lingua, sono un po’ tocchi. Da quegli scatti nacque una copertina per Atlante e altri mensili di viaggi e geografia.

Edo Prando

GUARDA LE ALTRE STORIE

Joomla SEF URLs by Artio